zenobattaglia

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LoZenoBattaglia presenta: LoZENOBATTRAILER!

Ecco il primo, unico e originale ZenoBatTrailer! Guardalo  qui.

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Drunk Girl Pole Dancing Accident Wedding / Garota bêbada causa acidente em um casamento.

Di AndersonLuiis. Durata 1’31”, Polonia-Brasile(?), 19 Novembre 2009, , sonoro.

Voto *****

Esilarante, caustico, multiforme, scioccante, Alcolizzata rovina il matrimonio dell’amica è un capolavoro di apocalittico splendore. Durante una festa di matrimonio le persone ballano e scalciano a ritmo di musica, come da copione, circondando la sposa. Una ragazza dai capelli e dal vestito rosso si scatena al centro della pista. Trascinata dall’esaltazione agguanta lo sposo e balla con lui. La sposa rimane sullo sfondo. Emarginata, seduta in sé, osserva la vera regina della festa. AndersonLuiis riproduce il progressivo disorientamento della festeggiata, alternando zoom e primi piani di lei, a stacchi improvvisi sulla danzatrice.

Schiavi della Valchiria in rosso gli invitati pian piano stringono l’attenzione attorno all’ospite prodigiosa e ben presto una festa di matrimonio si tramuta nel trionfo di una barbara. Di una dea libidinosa. Tutti dimenticano la bianca e bionda sposa. Ma nei suoi occhi increduli, gonfi di indicibile livore, attraversati da oscuri presagi vediamo riflessa una tela simbolica di dimensioni megalitiche: la stizza abissale della donna umiliata dalla donna; l’orrore muto di una principessa che, come in una fiaba claustrofobica, è costretta, per incantesimo, a fissare l’angosciante futuro che la attende; lo squagliarsi come neve al sole di una civiltà posta di fronte al germe dell’anarché che di lì a poco decreterà col suo scroscio allarmante di ormoni e con i suoi palpiti di troppo la fine sua e di tutti i filistei.
La donna in rosso è il fuoco fatuo delle verità sepolte. In una cerimonia in cui si celebra la sacralità della famiglia una baccante diventa incontrollabile sirena del caos che vive sotterraneo alle convenzioni (e alle convinzioni) della specie umana. Nei suoi ululati scorgiamo la rappresentazione terrificante dell’uomo come bestia, ovverosia nel suo stato più cristallino e vitale, osceno e distruttivo. E infatti: nell’enfasi del ballo, l’ospite prodigiosa si attacca a un palo. Al pilastro portante del tendone sotto il quale si svolge la cerimoniosa, secolare festa di nozze. E tutto crolla. Anche la pellicola di AndersonLuiis non è più la stessa.
La musica è finita. L’alba del day after illumina un paesaggio postnucleare. Altra poetica, altre simbologie, saltando di palo in frasca, da un campo semantico all’altro, senza mai (ed è questo il miracolo del film) perdere l’organicità formale. Il mondo è ora ribaltato come un calzino: è l’assieparsi di una carovana di miserabili intorno alle ceneri del vitello d’oro: grida, pianti, nasi insanguinati, tacchi che schizzano come topi terrorizzati su ciuffi d’erba. Solo la stentorea, ma gratificante, presenza di due belle figone ci ricorda, come un antico rudere, l’odiosa ostinazione della tracotanza umana; il persistere dell’errore che sopravvive alle sue conseguenze. E qui l’allegoria diventa apocalittica. La morale disarmante.

Caravanserraglio di generi- dal musical, all’erotico, alla commedia, al cinema verità, a quello di guerra, con tuffi nella favola dell’orrore e ammiccamenti splatter. Una sconvolgente metafora sulla civiltà edonista? Un dramma sintetico sul crollo dell’impero? Una screwball comedy un po’ hard che si trasforma in una sagra della morte? Un clamoroso fake, un mockumentario coi fiocchi? O, semplicemente, una risata vi seppellirà?

Come ogni grande opera, Alcolizzata rovina il matrimonio dell’amica è entrata a far parte del chiassoso tourbillon delle interpretazioni. C’è chi lo avvicina a un pastiche underground alla Alberto Grifi e c’è chi vi vede- negli evidenti richiami (la festa di matrimonio, il caos e la follia finale)- un sintetico rifacimento de Il cacciatore di Cimino. (Zeno&Battaglia)

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eskimo guccini

Michelangelo Zeno e Remo Battaglia sono lieti di inaugurare una nuova sezione del (primo e) novissimo dizionario di youtube. Sarà dedicata alla musica. La terrà Aldo Barzollo. Si apre l’ultimo dell’anno proprio perché in un ultimo dell’anno di molti anni fa, quest’opera è stata girata. Buona lettura.

Di psalvustube. Durata 6’25”, Italia, 22 aprile 2007, sonoro.

Voto **e mezzo

Ben al di là dei soliti omaggi musicali, il lavoro di Capodanno di psalvustube ci consegna uno sguardo obliquo sul Giorno di Festa.

Un uomo arpeggia con classe Eskimo di F. Guccini. L’altro “guccineggia” mentre, con gesti di pacifica routine, stira e piega i vestiti. Suoi? Suoi e della sua donna? Suoi e dell’amico? Poco importa. A dare senso al tutto è solo l’assoluta – gioiosa e incosciente – distanza tra i ricordi della canzone e la realtà; tra la patetica, pantofolaia giornata festiva (non siamo forse vicini a una “domenica in Settembre”?)  e i volontarismi (un po’ arroganti) del testo. Non sono più “vent’anni fa”, la vita è diventata reale e l’uomo, sapientemente diviso in due dallo sguardo registico, se ne fa carico e al contempo gioca. Lo scarto è rafforzato dalla scelta del giorno, che apre lo spazio per lo scisma tra l’attesa della Festa, momento di abbandono ed abbondanza, e questo godimento in interno borghese ripreso a camera fissa. L’aura di incipiente anzianità, con la sua malinconia, è in realtà superata da una complicità che pervade tutta l’opera, resta sottotraccia, per rendersi esplicita nei sorrisi di intesa all’apparire del loro personalissimo “Gianni ritornato da londra” (chi non ne ha, di Gianni?), fino a coinvolgere lo stesso spettatore. A tratti prolissa, come la canzone che ne scandisce il tempo, rimane un’opera a suo modo ambiziosa, su un’imborghesimento che, sì, può essere felice, con le sue gioie e la sua dignità, alla Virzì. Ma che, come alcuni film di Virzì, è “come un ovosodo che non va nè in giù nè in su [1] “. (Aldo Barzollo)

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[1] Morando Morandini

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Drunken Santa

di SidsPinkFloyd. Durata 1’10”, Regno Unito, 24 febbraio 2007, sonoro.

Voto ***

Manchester. Su una pista di pattinaggio un ubriaco vestito da Babbo Natale si contorce spasima sgambetta. Attorno a lui una ventina di persone, immobili come stalagmiti, gli danno le spalle. Opera muta a tema natalizio, Drunken Santa, più che riportarci alle origini del cinema, ci proietta nel futuro del balletto. Nel giro di un minuto assistiamo alla nascita e alla morte di un moderno Petruška. Di un burattino in rivolta che cerca di ribellarsi alla strafottenza delle leggi di gravità; di rimanere in piedi, ballare. E, fatalmente, perde. Rovina al suolo. Tutto avviene senza suoni, parole, o rumori di sottofondo. Una danza del silenzio (e in silenzio) dove il protagonista è solo, abbandonato al proprio grottesco e tragico destino. E mentre Santa Claus porta avanti la sua stupefacente lotta contro l’impossibile, tutti, se ne stanno fermi, ligi al loro dovere.  Tutti, tranne un bambino (vestito di rosso come il protagonista) che lo osserva. Accenna qualche movimento, lo imita. Poi Babbo Natale si schianta a terra. La legge- sino ad allora protagonista sorniona e invisibile della scena- irrompe, con arrogante celerità. Due uomini fosforescenti raccolgono i cocci del sogno e spengono la fiaba.

Apparentemente comico, ma profondamente disperante Drunken Santa è una sonata per arti e cartilagini di un (pingue) Pierrot delle nevi. Più che il canto di un cigno, il canto di un pinguino straziante e goffo.  Il grido di un burattino che ha deciso di danzare- e farsi uomo- in un mondo di pupazzi di ghiaccio.

(Consigliamo una prima visione senza sonoro. E una seconda, una terza, una quarta con questo sottofondo, o altri. A vostra scelta.)

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leo festa amici coscritti 1962 bormio 8 marzo 2008

di andreascaz, 10 marzo 2008, durata 39”, Italia, sonoro.

Voto *

Nell’inverno del 2008, durante una cena fra coetani del 62, un uomo e una donna chiaramente in confidenza giocano a fare gli sciocchi e ci riescono benissimo.  Le nuove insperate frontiere della mezza età, la riscoperta di antichi riti adolescenziali, il gioco delle lingue, le cadenze dialettali… Sarà sesso? Sarà amore? Solitudine? Incoscienza? Desiderio di tornare giovani? “Quant’è bella giovinezza che si fugge tutta via chi vuol esser lieto sia del doman non v’è certezza”. Andreascaz non indaga su questo. Ci lascia soli davanti alla coppia, richiamandola all’obiettivo. Ma mostrandocene il peggio. Pallida antologia antropologica di una ritrovata popolarità.

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Un rutto da primato! ragazza rutta

di iperluca, 29 ottobre 2007, durata 27”, Italia, sonoro

Voto *

La ricerca dell’affetto è un tema vecchio come Achille, e non ringiovanisce grazie a una pellicola approssimativa e goffa come Un rutto da primato! ragazza rutta.

Certe scelte registiche di iperluca- lo scavo sul volto, la ricerca di una “fissità illuminante“- tradiscono velleitarie ambizioni alla Bergman. Ormai non ci scandalizza più per un rutto e se la cosa fa poco ridere si rischia di annoiare lo spettatore. (Zeno&Battaglia)

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Our Food Was Still Moving!!!

Our Food Was Still Moving!!!

#L’incorporazione del video è stato disattivata dall’utente. Potete guardarlo QUI.

di WolfgangChuck, 27 Marzo 2007, 34”, Giappone, sonoro

Voto ***

Okinawa. 2007. In un ristorante un gruppo di avventori se ne sta davanti a una barca da sushi. La barca è carica di pesce crudo, pezzi di carne morta e morbida, inoffensivi, pronti per essere divorati. Ai lati della barca due alberi maestri pieni di guglie filature antenne pinnacoli uncini e chele: sono due tronchi di crostaceo. Un brusio, più simile a quello di una mensa aziendale che ai bisbigli di un ristorante di lusso, fa da sottofondo al primissimo piano del crostaceo (mutilato dalla testa in giù) che si rianima sollevando le chele con agghiacciante lentezza.

Qualcuno si aspetterebbe, come da copione più volte collaudato, che la creatura diventi il mostro  orrorifico da cui tutti devono scappare, che si trasformi in un alien, in un furioso fantoccio gigheriano, o che cominci a spurgare fluidi vitali generando il terrore come in una visione di Lynch. E invece no. Our Food non è la storia di quattro amici in una tavola calda aggrediti da un mostro proteiforme, non è un horror al neon. E non è  un elogio del supplizio stile Hostel. E non è una feroce metafora sulla società contemporanea stile Cannibal Holocaust.

A dispetto delle facili interpretazioni e delle allegorie Our Food è prima di tutto la storia di un’aragosta che non viene uccisa ma viene “accompagnata”, spezzata in due, al cospetto dei commensali. I quali giocano con qualcosa che poi mangeranno. Ed è proprio il comportamento dei presenti, piuttosto che l’agonia dell’animale, a passare in primo piano: uno impugna la macchina fotografica per incorniciare l’evento, poi allunga una cannuccia e punzecchia il busto dell’animale, gli altri ridono. E’ sul mostro e sulla sua sorte che WolfgangChuck stringe l’obiettivo, accorda il suo sguardo. E lo spettatore assume il punto di vista del crostaceo.

Nel percorrere i vari gironi della tortura l’aragosta non si può giovare nemmeno della pietà altrui. La sua vita è considerata inferiore, ornamentale a quella dell’uomo. “Mangiare è un atto di potere” affermava Elias Canetti. Mangiare qualcosa di vivo, rilanciamo noi, attribuisce all’atto qualcosa di trionfale, e qualcosa di sottilmente antagonistico: una battaglia. Che – guarda caso – viene riprodotta, anche se per scherzo.

Our Food Was Still Moving!!

Quando alla fine del film la nave “salpa” verso l’altro lato della tavola, il piano sequenza asseconda la parabola delicata del vassoio, dando l’impressione che nessuno voglia accelerare la sorte dell’animale. (Che nessuno, sotto sotto, voglia mangiare.) Un’impressione accentuata dall’ambiente: asettico, talmente ordinario da espropriare l’azione dai concetti stessi di cui è composta (vita, morte, lotta, fame…), dai loro significati più contingenti, emarginando la morte della protagonista a un semplice atto di consumo di poco conto, senza vette mitiche, né orrori degni di scandalo.

D.F.Wallace scriveva: «Anche se coprite la pentola e vi girate dall’altra parte, di solito sentirete il coperchio che sbatacchia e sferraglia mentre l’aragosta cerca di spingerlo via per uscire». WolfgangChuck ha il merito di non girarsi dall’altra parte. (Zeno&Battaglia)

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Signorini intervista Ruby Rubacuori

Signorini, Ruby e Vespa (il cane, al suolo)

A grande richiesta, mentre si sta svolgendo il processo Ruby, ripubblichiamo questa “vecchia” recensione.
 
(La recensione è stata scritta subito dopo l’uscita dell’intervista, ma per motivi di diritto e\o altro, l’opera è stata spazzata via dal web. Sono disponibili solo pochi spezzoni che alcuni temerari continuano a mantenere su youtube.) 
 

Con Alfonso Signorini,  Karima El Mahroug, Silvana Pampanini, Luca Risso. Italia, 2010.

In un salotto televisivo Alfonso Signorini (Alfonso Signorini) intervista una ragazza marocchina, Ruby (Karima El Mahroug) alla presenza del cadavere di un cane. Sullo sfondo, appena visibile, Silvana Pampanini (Silvana Pampanini), noto volto del cinema italiano degli anni cinquanta e sessanta, armeggia con oggetti da cucina.

In meno di quaranta minuti assistiamo al racconto delle vicissitudini di Karima, emigrata in Italia da bambina per raggiungere il padre: la graduale scoperta della femminilità vietatagli dalle leggi religiose musulmane, lo stupro da parte degli zii, lo scontro col padre che, scoperto che la figlia vuol cambiare religione, gli rovescia addosso una padella di olio bollente, la fuga da casa a dodici anni. L’identità di Karima viene stravolta dagli eventi, consegnando la ragazza a un angoscioso futuro. Cominciano i primi furti e un’esistenza fatta di sotterfugi e di bugie. Nell’immagine dell’adolescente che, compiuto il primo furto, sotterra la borsa appena rubata, scorgiamo tutto il disperato simbolismo dello Yeates portato sul grande schermo da Mendes. Sotterrato così il passato Karima si inventa un’altra vita: racconta di essere egiziana, mente sulla sua età, sino a trasformarsi progressivamente in Ruby. Ruby è sola, disoccupata e in un paese straniero. Lavora per 700 euro al mese, come cameriera o cubista. Ruby vorrebbe entrare nel mondo dello spettacolo. Tutti desiderano il suo corpo e si accontentano delle sue menzogne. Dopo un tentativo di prostituzione andato a vuoto (la ragazza si tira indietro all’ultimo) la doppia vita di Karima conosce una svolta. Una sera come tante, il 14 Febbraio, la ragazza, che è ancora minorenne, viene invitata a una cena dal Presidente del Consiglio Italiano. In Silvio Berlusconi Ruby trova un ascoltatore che non vuole servizi triviali e che, col semplice esercizio del proprio carisma, risveglia in Ruby la coscienza di essere Karima. Karima racconta a Silvio le avversità dell’infanzia, le attuali difficoltà finanziarie, le controversie di integrazione commuovendolo a tal punto che il Presidente le regala un’ingente somma di denaro.

Signorini (co-regista e co-autore) lavora con pennellate lievi, abbandonando apparentemente la scena alla protagonista. Eppure si scorge dietro lo schema del racconto, e fintanto nelle lacrime e nei momenti di struggimento, l’intento di un burattinaio fin troppo consapevole che si inserisce nei momenti cruciali, che riporta il fiume del discorso nel letto di argomentazioni sepolte che soltanto lo spettatore più smaliziato può cogliere (e che pure agiscono, come inavvertibili sferzate, nelle coscienze di milioni di spettatori.) Ispirato a una storia vera (l’inchiesta che, a partire dal 2009, ha visto il Presidente del Consiglio Italiano indagato per un imponente giro di prostituzione) Signorini intervista Ruby Rubacuori è un efficace esempio di “psicodramma in sordina” che trasferisce nella vita di una ragazza i grandi temi storici di un paese. La sempre più irrisolta questione morale, la disoccupazione giovanile e le sue ripercussioni sulla stabilità sociale, lo scontro fra istituzioni, il sessismo, il gioco di specchi e di spettri fra “complotto” e “dittatura”. Ma Signorini è un mattatore a tutto campo: in una fase storica segnata dall’esacerbarsi dei conflitti religiosi (proprio in quel periodo risuonava l’eco della persecuzione dei cattolici nei paesi islamici e dopo anni di guerra in Afganistan) le verità di Ruby chiamano tacitamente in causa la chiesa a la comunità cattolica. Una regia composta, che si sofferma poco sull’ambiente, preferendo l’espressività della protagonista. Un ritmo ben congegnato che avvicenda momenti di pathos (forse un po’ troppo compiaciuti) a dialoghi serrati in cui Signorini, già regista e autore, dimostra doti anche da interprete vestendo i panni ora del reporter comprensivo, ora del giudice istruttore.

Signorini   Come ti sei vestita quella sera? E al Presidente come ti sei presentata?

Ruby   Stessa maniera che ho fatto da te. Timida all’inizio. Piacere Ruby. Il nome è quello. Poi ho detto che ho 24 anni.

Signorini   Quindi con quell’esistenza parallela di cui ci hai parlato poco fa?

Ruby   Ho 24 anni. Poi la mia amica mi ha portato lui dicendole che ero in difficoltà.

Signorini   Che uomo ti sei trovata davanti? Un uomo disponibile a ascoltarti?

Ruby   Disponibile a ascoltarmi. A differenza di tutti gli psicologi che ho avuto in tutte le comunità. Gli ho detto la mia storia. Gli  ho raccontato in sincerità tutto tranne che per l’età, e per il nome, e per il paese di provenienza.

Signorini   Le hai detto che eri la nipote di Mubarak?

Ruby   No.

Signorini   Come salta fuori questa nipote di Mubarak?

Ruby   L’ho letto sui giornali. Ho scoperto che la famosa serata del 27 Maggio era stata detta in questura che ero la nipote di Mubarak.

Signorini   Ritorniamo a quella sera. Come è andata? Tu hai avuto delle avance sessuale da parte di Silvio Berlusconi.

Ruby   No. Assolutissimamente no. Nel senso ecco torniamo sempre al discorso della vita parallela e al discorso del vantarsi di una ragazzina davanti a delle ragazze della sua età e davanti alle quali non può mostrare altro. Ti capita la situazione di trovarti a casa del Presidente, apri la tua bocca e la riempi con le prime cose che ti capitano.

Ideato in poco meno di una settimana Signorini intervista Ruby Rubacuori è un modello di scrittura ipnotica, a metà strada fra la fiaba e il dramma giudiziario che conserva un evidente debito formale con pilastri dei generi come Hans Christian Andersen e Sidney Lumet. Se tanta maestria venisse utilizzata e se tanto sudore venisse speso per edificare cattedrali visioni arti mestieri autostrade o disegni di legge l’Italia sarebbe, senza ombra di dubbio, un magnifico paese.

Per quanto abbia beneficiato di un grande battage pubblicitario e di una diffusione capillare (subito dopo la fine della lavorazione è stata trasmessa in nazionale su una rete televisiva del Presidente del Consiglio) la versione integrale dell’opera è andata misteriosamente perduta. Sopravvivono alcuni spezzoni, rimontati per altre esigenze e più o meno fedeli all’originale, nel caos del web.

Ruby Rubacuori

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come mangia una carpa

di arca582, durata 51”, Italia, 25 maggio 2008, muto (b/n)

Voto ****

Sul fondale di un lago (o di un fiume) un banco di carpe nuota grufolando fra i detriti, sondando con i barbigli la presenza di cibo. Finchè la più imprudente abbocca all’amo e viene trascinata in superficie mentre le superstiti si danno alla fuga.

Ciò che più colpisce di come mangia una carpa è l’ambiente onirico, la ricchezza formale, la poetica dimessa. Le carpe escono dalla nebbia, si muovono nelle acque surreali dove navigava l’Atalante e in cui Jean vide la sua bella. L’inquadratura stretta e claustrofobica, il primissimo piano dell’occhio, parlano di un altro cinema, dove la telecamera è alla periferia ultima, dove lo sguardo autoriale non esiste. I pesci sembrano attraversare la cinepresa, sembrano sbucare da dietro di noi, attraversandoci. E come spettatori moriamo e siamo condannati a vivere una visione fortuita relegati alla nostra non-presenza. Assenti vedenti.

L’abboccamento della carpa equivale alla fine del sogno, al risveglio. Le acque si scuotono e anche noi torniamo a galla. (Zeno&Battaglia)

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Washing Machine Self Destructs (Original)

La scheda tecnica qui sotto si riferisce al video originale che è stato rimosso. Il link al video, fornito da ascocaine, è adesso su youtube senza- fortunatamente- nessuna variazione all’originale, tranne il titolo (Mattone nella lavatrice).

Di Photonicinduction, durata 1′ 19”, Regno Unito,  29 Luglio 2010, sonoro.

Voto ****

In un giardinetto come tanti altri una lavatrice a carica frontale viene fatta girare a vuoto a una velocità spaventosa. Quando comincia a fumare e mostra i primi segni di cedimento un uomo infierisce su di lei, somministrandogli un mattone nel cestello. L’elettrodomestico diventa vittima della sua stessa forza centrifuga e si sfascia in mille pezzi. Rivisitazione del cult adolescenziale “Corto Circuito”, ha il pregio di stilizzare al massimo la brutalità della sopraffazione,  ma, a differenza dell’originale, manca di trama, ritmo avventuroso e inventiva. Una delle opere più originali fra gli snuff movie sulla violenza elettrodomestica (1. 2.), Washing Machine Self Destructs (Original) è una favola macabra sul sadismo dell’essere umano che, quando non può rifarsela con i propri simili si estende, come un morbo imperialista, verso nuovi e inesplorati territori. Bestie, fiumi, laghi, utensili, oggetti inanimati. Il finale- la lavatrice che si contorce al suolo in preda a un attacco epilettico- è di una crudezza esasperante. Lascia addosso un senso di profonda ingiustizia e frustrazione. Nel titolo- un piccolo gioiello di perfidia- risuona tutta l’odiosa e invulnerabile prepotenza del carnefice che fa il discorso funebre per la propria vittima. L’apice  dello sprezzo del forte nei confronti del debole, del potere che, dopo aver falciato i corpi dei propri oppositori, ne miete anche la memoria. Self Destructs? La lavatrice non aveva alcuna intenzione di uccidersi. Piuttosto è stata suicidata. (Zeno&Battaglia)

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